È opportuno ricordare, preliminarmente, che ciascuno Stato regola il concetto di residenza fiscale autonomamente. Nel caso in cui una persona risulti fiscalmente residente in due Stati in base alle rispettive disposizioni domestiche è necessario fare riferimento, ove esista, al Trattato contro le doppie imposizioni firmato dai due Stati. Normalmente i Trattati formulati secondo le linee guida OCSE prevedono una serie di criteri che devono essere applicati a cascata a seconda che uno di essi risolva o meno il conflitto di potestà impositiva. Per determinare lo Stato di residenza si farà riferimento in prima battuta a quello dove si trova l’abitazione permanente della persona. Se il soggetto possiede un’abitazione permanente in entrambi gli Stati, si prenderanno in considerazione, in ordine, il domicilio (inteso come centro di affari ed interessi), la dimora abituale e infine la cittadinanza (cd. Tie breaker rules).
Considerato che spesso le norme statali fanno dipendere la residenza fiscale dal numero di giorni trascorsi nel Paese, il documento pubblicato il 3 aprile invita le amministrazioni fiscali e le altre autorità competenti a considerare la circostanza eccezionale dovuta all’emergenza in corso per riformulare periodi di tempo più idonei nella valutazione dello stato di residenza. A tal proposito si indica come virtuoso l’esempio di alcuni Paesi (UK, Australia e Irlanda) che si sono già adoperati per fornire indicazioni sull’impatto dell’epidemia COVID-19 in materia di residenza fiscale.
Ma ciò che più rileva ai fini del nostro contributo sta nel fatto che le linee guida OCSE sottolineano come difficilmente si possa acquisire la residenza nello Stato in cui si è costretti a soggiornare a causa del COVID-19 laddove sia in vigore un Trattato basato sul modello OCSE che applica le Tie breaker rules.
Il documento illustra, a proposito, due esempi concreti che possono considerarsi come paradigmi applicabili ad una serie indeterminata di casi analoghi.
Il primo riguarda colui che temporaneamente è lontano da casa (in vacanza o per lavoro) perché rimasto bloccato nel Paese ospitante a causa della crisi del Covid-19 ove ottiene la residenza nazionale e il secondo colui che lavora in un Paese (il “Paese d’origine attuale”) e vi ha acquisito lo status di residente, ma ritorna temporaneamente nel “Paese d’origine precedente” a causa dell’epidemia Covid-19. Si tratta di un soggetto che potrebbe non aver mai perso lo status di residente del precedente Paese di origine in base alla legislazione nazionale, oppure che potrebbe riacquistare lo status di residente al suo ritorno.
Nel primo caso, secondo le linee guida OCSE, è improbabile che la persona acquisisca lo status di residente nel Paese in cui si trova temporaneamente a causa di circostanze straordinarie. Nel secondo caso, per le linee guida, è ancora una volta improbabile che la persona riacquisti lo status di residente per essere temporaneamente ed eccezionalmente nel precedente Paese di origine.
L’Italia e la Repubblica Ceca, ad oggi, non hanno adottato alcuna specifica indicazione in materia di residenza fiscale e, pertanto, le relative criticità che possono sorgere a seguito della crisi epidemiologica dovrebbero essere affrontate e risolte alla luce dei principi generali sopra richiamati.
Un intervento chiarificatore sarebbe in ogni caso auspicabile in generale da entrambi i Paesi e per quanto riguarda l’Italia anche in riferimento alla posizione di quei soggetti (lavoratori rimpatriati, neo-residenti, pensionati) che intendono perfezionare il trasferimento della residenza fiscale per beneficiare delle interessanti agevolazioni fiscali loro riservate.
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CAMIC- https://www.camic.cz/it/news/residenza-fiscale-come-muoversi-alla-luce-dellepidemia-covid-19/